Ci sono testi scritti vari anni fa, che forse per sapienza, forse per Fede, forse perché profondamente umani si rivelano inaspettatamente attuali e coinvolgenti. Uno di questi è uno scritto di san Giovanni Battista Scalabrini che racconta il momento in cui sentì vibrare il suo animo e sentì la spinta a “muoversi”.
“In Milano parecchi anni or sono, fui spettatore di una scena che mi lasciò nell’animo un’impressione di tristezza profonda. Di passaggio alla stazione vidi la vasta sala, i portici laterali e la piazza adiacente invasi da tre o quattro centinaia di individui poveramente vestiti, divisi in gruppi diversi. Sulle loro facce abbronzate dal sole, solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore. [...] Erano emigranti […] Si disponevano ad abbandonare la patria, che essi conoscevano solo sotto due forme odiose: la leva e l’esattore e perché pel diseredato la patria è la terra che gli dà il pane, e laggiù lontano lontano speravano di trovarlo il pane, meno scarso se non meno sudato. […] Partii commosso. Un’onda di pensieri mesti mi faceva nodo al cuore. […] quanti, pur trovando il pane del corpo, verranno a mancare di quello dell’anima, non meno del primo necessario, e smarriranno, in una vita tutta materiale, la fede de’ loro padri? Da quel giorno la mente mi andò spesso a quegl’infelici, [...]. Di fronte ad uno stato di cose così lagrimevole, io mi sono fatto sovente la domanda: come poter rimediarvi? […] e mi chieggo di nuovo: come venir loro in aiuto?” (Scalabrini G.B., L’emigrazione italiana in America, 1888).
Mi trovo in questo momento in Guatemala, nella Casa del Migrante “Scalabrini”: è questa, insieme ad alcune altre case del migrante che ho avuto la fortuna di visitare, la mia “stazione di Milano” il luogo in cui ”vedere”. E come in una stazione c’è chi viene, chi va, chi si siede e aspetta, chi cerca e chi sembra perso, così in questa casa vedo ed incontro persone in movimento: sono i migranti oggi. Anche loro hanno un volto che racconta la fatica, la stanchezza, a volte la paura, a volte la nostalgia, ma anche la determinazione, il coraggio, la solidarietà, la speranza…
Vivere in casa del migrante in capitale e quindi in un luogo centrale permette di osservare le varie facce della migrazione in questo paese. Il Guatemala è un paese che inizialmente bisogna cercare nella cartina del centro America perché non rientra tra i “grandi” conosciuti e riconosciuti; è un paese bello e ricco di storia e risorse, ma condannato da altre potenze alla povertà e per questo è innanzitutto un paese da cui la gente emigra. Molte delle persone che ho conosciuto in questi mesi mi raccontano di familiari o vicini che sono partiti per “cercare migliori opportunità” al nord per mancanza di lavoro e per il desiderio di un futuro migliore. La posizione del paese però lo rende non solo un punto di partenza ma anche, o forse soprattutto un luogo di passaggio: in casa vengono accolte ogni giorno decine di persone provenienti da paesi vicini (Honduras, Salvador), ma anche da Venezuela, Ecuador, Colombia, Nicaragua oltre ad Haiti e a volte Cuba…
Le principali ragioni sono la mancanza di opportunità e quindi la ricerca di lavoro, la migrazione forzata (violenza), la fuga, i disastri ambientali, l’educazione o la salute. Le facce della migrazione in Guatemala però non finiscono qui: quest’anno è aumentato enormemente il numero di guatemaltechi deportati dagli Stati Uniti e dal Mexico. Sono migranti catturati dalla polizia migratoria mentre cercavano di oltrepassare la frontiera ma anche persone che vivevano e lavoravano da molti anni negli Stati Uniti, con una famiglia, dei figli, una rete ed una comunità di riferimento…
San Giovanni Battista Scalabrini di fronte ai migranti non ha chiuso la porta ma si è lasciato interrogare: “Come venir loro in aiuto?”. È una domanda di ieri e di oggi che compare ogni volta che incontriamo con verità un fratello… La risposta è personale e non sempre immediata, ma già il prendere in considerazione la domanda è un passo. Perciò all’inizio di questo nuovo anno l’augurio è quello di lasciarsi disturbare dalla commozione, di portare nel cuore una grande domanda e di poter fare almeno un piccolo passo verso qualcuno.
Elena Zamin
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Articolo pubblicato sul mensile insieme di febbraio 2023.
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