Padre Oscar Gil Garcia è un sacerdote scalabriniano il cui cammino di vita e fede si intreccia con le radici profonde della cultura messicana e l'impegno instancabile verso le comunità migranti. Nato e cresciuto in una famiglia profondamente religiosa, ha scoperto sin da giovane la bellezza della vita sacerdotale, ispirato dall'esempio del padre, dalla vicinanza ai frati francescani e dalle tradizioni cattoliche della sua terra natale.
Dopo aver abbracciato il carisma scalabriniano, si è dedicato alla missione verso i migranti, servendo in diversi Paesi e lavorando con comunità di lingue e culture differenti. Oggi, il suo servizio lo vede impegnato in Svizzera, dove ha lasciato un segno profondo nella comunità portoghese e ora si prepara a iniziare una nuova sfida pastorale con la comunità di lingua italiana a Berna.
In questa intervista, già anticipata in parte sul numero di dicembre di Insieme, Padre Oscar Gil Garcia condivide le sue esperienze, le sue ispirazioni e le sue speranze per il futuro della Chiesa e della sua missione, rivelando una visione di fede e umanità che non smette mai di crescere.
Padre, ci racconti un po’ delle sue origini in Messico. Com’è stato crescere in un paese così ricco di cultura e tradizione cattolica?
Il Messico è un Paese con tradizioni religiose millenarie e non deve esser percepito soltanto come un Paese sottomesso alla cultura e tradizione Spagnola. L’America Latina ha la sua propria identità al di là dell’eredità Europea. Noi come messicani abbiamo come Nazione una ricca tradizione con le proprie radici ancestrali.
Qual è stato il momento in cui ha sentito la vocazione per la vita sacerdotale? C’è stato un evento particolare che l'ha ispirata?
La mia famiglia per tradizione è religiosa e ho imparato a pregare grazie all’esempio di mio padre che ci teneva in particolare a partecipare all’Eucaristia domenicale con tutta la famiglia.
Lui stesso ci parlava della Bibbia e ci insegnava il catechismo. La mia famiglia aveva un rapporto molto stretto con i sacerdoti francescani della mia Parrocchia che spesso venivano a casa a condividere il tavolo.
Io stesso facevo parte del gruppo di chierichetti della Parrocchia e tutti questi contatti a un punto facilitavano il mio desiderio di servire a Dio. E così un giorno il sacerdote vocazionista mi ha lanciato l’invito in maniera diretta per chiedermi se sentissi il desidero di studiare per diventare sacerdote.
Il suo invito ha acceso la speranza della possibilità di entrare in seminario. In quel momento ero piccolo e pertanto i miei genitori non erano molto favorevoli a lasciarmi andare perché sicuramente pensavano che a questa età non si sa cosa significhi diventare sacerdote. Alcuni anni dopo, quando sono diventato un giovane adulto, ho conosciuto un missionario scalabriniano Padre Roberto Simionato (1945-1995), responsabile della opera sociale “Casa del Migrante” a Tijuana nel confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Dopo alcuni mesi di contatti, Padre Roberto mi ha fatto lo stesso invito di diventare un missionario. Prima di decidere e dopo alcuni anni di esperienza come volontario, sono entrato al seminario per prepararmi come un futuro missionario scalabriniano. Vorrei dire che dal primo momento mi ha colpito molto in maniera positiva il carisma scalabriniano verso i migranti. Definitivamente mi sono sentito spinto a formare parte di questa Congregazione religiosa con un carisma così profondo, umano, attuale e necessario soprattutto per un Paese come quello del mio Messico.
Lei è stato direttore della missione di lingua portoghese sempre qui a Berna fino a poco tempo fa. Com'è stata questa esperienza e quali sfide e soddisfazioni ha incontrato nel servire una comunità di lingua diversa dalla sua?
Posso dire che la mia esperienza pastorale e il rapporto personale con la comunità portoghese hanno segnato la mia vita sacerdotale in maniera profonda e molto positiva. Ho trovato lo spazio, l’ambiente e le persone che mi hanno motivato e inspirato a sviluppare tutta la mia vocazione sacerdotale attraverso le celebrazioni dei sacramenti e questo mi ha aiutato ha configurare un’identità di pastore fedele e responsabile. Non essendo di lingua madre portoghese la conoscenza della lingua è importante perché è il mezzo di comunicazione per riuscire a esprimersi, però quando si tratta di fede ho potuto sperimentare che i portoghesi hanno una fede profonda e tradizionale, soprattutto per quanto riguarda la devozione alla Madonna di Fatima. In questo senso mi sono sentito a casa, dato anche che la mia vocazione si è sviluppata e configurata sotto la religiosità e devozione popolare alla Madonna di Guadalupe.
Essendo un sacerdote scalabriniano, com'è il suo impegno nell'accompagnamento delle comunità migranti e cosa la ispira in questo servizio?
Il carisma scalabriniano è molto valido come proposta pastorale in favore del migrante. Papa Francesco è un esempio di cosa significhi lavorare col migrante; nei suoi quattro verbi Accogliere, Proteggere, Promuovere e integrare sviluppa con questi forti pilastri una pastorale integrale per favorire e facilitare giustamente l’integrazione tanto nella Chiesa come nella Società per chi cammina nella via dell’esodo. Questi verbi si sposano perfettamente con la spiritualità del nostro fondatore Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905): “la spiritualità del Beato Giovanni Battista Scalabrini è una spiritualità d’incarnazione, con la quale s’intende non solo il mistero del Dio fatto uomo per noi, ma soprattutto la novità apportata da Lui all’umanità. Questa spiritualità d’incarnazione offre una possibilità di attenzione ai nostri fratelli e sorella migranti che a volte non trovano le condizioni di vivere in maniera degna nella società sia d’origine come d’arrivo. Come potete vedere il mio accompagnamento ha come base la spiritualità del nostro Fondatore Giovanni Battista Scalabrini e la proposta dei quattro verbi del Santo Padre Francesco.
Essendo qui a Berna, conosce anche molto bene la nostra comunità cattolica di lingua italiana. Cosa spera di portare e imparare da questa nuova missione?
Ogni comunità linguistica è una sfida! La lingua non è sufficiente per dire che si conosce una cultura. Il linguaggio è un mezzo di comunicazione che ci permette contattare persone per scambiare alcune idee. Non è lo stesso quando si parla di fede e questo è il punto più importante per cominciare a entrare in comunione con le persone di una comunità nuova. Mi aspetto d’imparare la sua fede, la sua tradizione, la sua maniera di pregare e di permettermi conoscere naturalmente la sua cultura e tradizione.
Papa Francesco, esperto di umanità, nei suoi discorsi sottolinea la centralità della concretezza e precisa come nelle relazioni umane assumono valore e significatività in tre parole: permesso, grazie e scusa. Tre piccole parole che esprimono il profondo del cuore e costruiscono relazioni positive e nutrienti. Vorrei proprio dire così: che comincerò a creare un rapporto umano e di amicizia con le persone tanto dell’amministrazione come della pastorale. Per me queste tre parole possono essere il mezzo per cominciare ad aprire un contatto e una comunicazione serena e tranquilla.
Nel suo cammino di fede e di vita sacerdotale, ci sono figure o santi che l'hanno particolarmente ispirata? Oltre chiaramente a S. G. Scalabrini.
Per me la Madonna è come una mamma che sa tutto. A me facilita per la mia configurazione di famiglia messicana tradizionale avere un rapporto di vera devozione verso la Madonna, sia quella di Guadalupe, che quella di Fatima, che quella Aparecida.
Quali sono, secondo lei, le sfide principali che la Chiesa Cattolica deve affrontare oggi, soprattutto nel contesto delle comunità migranti e interculturali come quella di Berna?
La Chiesa come istituzione deve essere anzitutto mamma! Il Papa nella sua visita in Belgio il 28 settembre scorso nell’udienza con gli studenti dell’Università Cattolica di Luovein ha insistito con i giovani di guardare alla Chiesa in questa maniera e non come una multinazionale oppure come un istituto di opere buone che fa soltanto filantropia pura. La Chiesa è il popolo di Dio radunato intorno all’altare per ascoltare la parola, spezzare il pane (comunione) e partire in missione (l’annunzio). Questi presupposti sono le radici e il principio della Chiesa dei primi cristiani e questa maniera tridimensionale diventerebbe la mia sfida per riuscire a mantenere così viva e dinamica la nostra comunità. L’interculturalità viene in seguito, proprio come una conseguenza di questi primi movimenti.
Ha vissuto in diversi Paesi e lavorato con diverse culture. Come queste esperienze hanno arricchito il suo approccio pastorale e il suo modo di servire la comunità?
Come dicevo, ogni comunità ha sua propria identità perché alla sua radice si trova la sua tradizione, religiosità, cultura e società. Pertanto, partendo dal principio missionario come scalabriniano dirò che il mio approccio sarebbe riuscire a costruire rapporti e relazioni che ci permettano a convivere e condividere un’amicizia e la fede a partire del presupposto evangelico. In tutte le relazioni e nei rapporti interpersonali ci vogliono tempo e pazienza, ma soprattutto rispetto, per riuscire ad avere veramente relazioni libere e oneste.
Quali sono le sue aspirazioni per questa nuova missione? C’è un progetto o una visione particolare che vorrebbe realizzare per la comunità di lingua italiana?
La comunità di lingua italiana è senza dubbio una “scuola” di vita. Ha appena celebrato il giubileo di 60 anni di vita pastorale e sono tanti anni che la comunità cammina come il Popolo di Israele “in ricerca della terra promessa”, cioè come un vero migrante ha trovato uno spazio nella comunità pastorale per riuscire ad andare avanti. Dopo tanti anni di lavoro missionario che tanti missionari hanno fatto per riuscire a radunare intorno all’altare gente bisognosa di fede e amicizia, il poco che posso fare è mettermi con molta discrezione e umiltà a seguire le linee già tracciate e dare continuità. La Missione di lingua italiana ha delle persone dal valore prezioso che danno vita e continuità al resto dei fedeli e devo pertanto cercare il mio posto per aiutare a dare continuità.
Come sacerdote e come uomo, cosa la motiva di più nel suo quotidiano e quali sono le sue speranze per il futuro della Chiesa e della sua missione?
Come uomo di Chiesa mi motiva la preghiera come sostegno nella mia vita come missionario. Alimentare tutti i giorni la fatica, le difficoltà, la frustrazione e la stanchezza giornaliera che viene vissuta nella dinamica del lavoro (lo dico con senso di umanità e non come lamentela). È vero che il nostro lavoro missionario è esigente e richiede molta attenzione che a volte ci fa entrare in uno stato di stress. In questo senso la preghiera mi aiuta come una disciplina spirituale per riuscire alzarmi il giorno seguente in pace e tranquillità. La mia speranza nel futuro della nostra Chiesa e della mia missione e per me come pastore, è di vivere come i primi cristiani: nell’ascolto della Parola, nello spezzare il pane e nella condivisione dei beni. A volte mi sembra un’utopia, però per me è meglio credere a questa utopia che finire frustato per non aver fatto nulla per questa grande sfida.
E un paio di domande più leggere 😊
Qual è il suo piatto preferito? Cozido à Portuguesa (lesso di carne misto con verdure), baccalà, zuppa con julienne di verdure, pesce e frutti di mare cucinati in diversi modi.
C’è un luogo in Svizzera che le piacerebbe visitare? Flüeli-Ranft, nel Canton Obvaldo, dove viveva Bruder Klaus
Cosa fa nel tempo libero per rilassarsi? A me piace tanto andare a camminare in montagna, leggere romanzi e libri di storia e politica.
Caffè o tè? Entrambi.
Qual è stato il primo pensiero quando è arrivato in Svizzera? Il clima freddo, il cioccolato e le montagne.
Ha una citazione o un versetto della Bibbia che la ispira particolarmente? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. (Gv 1,1-18)
C’è una tradizione messicana che le manca vivendo all’estero? Veramente no! Più che altro mi manca la famiglia di origine. Sono in Europa da venticinque anni e prima sono stato in Brasile e negli Stati Uniti, quindi ho passato molti anni fuori e le radici familiari non si possono mai dimenticare! Vado in vacanza ogni anno per un mese e le giornate le passo con la mia famiglia con il fermo desiderio di non staccarmi. Ci tengo a mantenere il rapporto sempre fresco e voglio essere sempre presente.
Preferisce la montagna o il mare? Montagna.
Qual è il suo libro preferito (non religioso)? Per ora sono molto interessato alla lettura di due libri: 21 lezioni per il XXI secolo, di Yuval Noah Harari e il libro La Montagna incantata, di Thomas Mann.
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