È la domenica dedicata alla preghiera (e non solo) per i migranti e i rifugiati. Siamo persone in cammino e qualunque sia la motivazione che ci spinge ad esserlo, perché l’itineranza ci appartiene. Ci si muove per piacere o per dovere, per scelta o per costrizione.
A parte il turista, che parte per piacere e per poi tornare, il migrante e il rifugiato non desiderano essere tali, perché di fondo, nella loro itineranza c’è sempre una costrizione. Eppure nella Bibbia e nella storia della chiesa, il migrante è diventano l’icona del popolo di Dio (e della Chiesa), in cammino verso la patria celeste. È questa la condizione esistenziale e spirituale che deve sempre caratterizzarci. Uomini e donne in cammino, per fare della mobilità non un semplice spostamento geografico, ma un atteggiamento esistenziale. Essere svegli, agili, mobili, propensi verso le situazioni e le persone, audaci, proiettati verso il futuro, verso l’oltre, sempre con occhi di meraviglia verso la novità che la vita ci presenta e disposti a lasciarci cambiare e migliorare dall’incontro con l’altro. L’itineranza ci fa maturare, perché chi non è mai uscito dal suo mondo (geografico, esperienziale e spirituale) resta povero, isolato e svuotato. L’incontro con l’altro ci arricchisce, ci fa vedere la vita da un’altra prospettiva, ci relativizza nei nostri assolutismi e ci fa fare esperienza di quella salvezza, che proviene da fuori. È quanto apprendiamo dalle letture di questa domenica (1 lettura e vangelo), in cui degli estranei (o stranieri), che non erano parte del gruppo, “dei nostri”, potremmo dire con uno slogan caro a certe prospettive politiche, diventano portatori di salvezza.
Dio cammina con noi e – permettetemi il gioco di parole - si lascia incontrare in chi incontriamo, perché Dio non fa parte “dei nostri”, ma Dio è altro, ci viene incontro, viene da fuori, è itinerante perché è straniero.
Buon cammino
P. Antonio
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